Due uomini parlano in un ufficio.
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Minor rischio di mortalità grazie a un salario maggiore?

O è la categoria professionale che influenza le aspettative di vita?

In Svizzera la speranza di vita continua a crescere, anche se come noto esiste una differenza fra uomini e donne.

  • Jürg Niggli
  • Tempo di lettura: 4 minuti
  • Ultimo aggiornamento: novembre 2024

Secondo le stime recenti dell’Ufficio federale di statistica è di circa quattro anni a vantaggio delle donne. È interessante però sapere se ci siano altri criteri, oltre al sesso, che influenzano in modo significativo la speranza di vita. 

Più si guadagna, più si vive a lungo, secondo uno studio

Secondo uno studio della Caritas del 2002 «i poveri vivono meno a lungo». Inoltre, un operaio non specializzato muore in media da quattro a cinque anni prima di un accademico che in teoria percepisce anche un salario maggiore.

La conclusione a cui giunge lo studio è valida ancora oggi? Secondo i dati recenti della Mobiliare sui casi di decesso delle persone attive in Svizzera, coloro che percepiscono un salario maggiore sono più longevi. Questa affermazione confermerebbe lo studio della Caritas secondo il quale un salario più alto può essere connesso a una maggiore speranza di vita.  

È evidente che un reddito alto consente condizioni di vita migliori, e viceversa. Abitare in una strada rumorosa e inquinata, ad esempio, può nuocere alla salute, come anche un’alimentazione poco varia e di pessima qualità o cure mediche insufficienti. 

Il rischio relativo di mortalità diminuisce quanto più elevato è il salario mensile.

Differenze nell’aspettativa di vita in funzione dei settori

La speranza di vita può tuttavia diminuire anche a causa di un maggior rischio di infortuni in un determinato settore, delle pessime condizioni di lavoro, dei turni o dello stress. È quindi lecito chiedersi se non è la categoria professionale piuttosto che il salario a incidere maggiormente sulla speranza di vita. I dati della Mobiliare suggeriscono che il solo salario non è l’unico indice della speranza di vita. 

Sebbene le cifre tendano a dimostrare il legame fra un salario elevato e un basso rischio di mortalità, fra i salari medi si evidenziano alcune differenze. Le persone che lavorano nel settore sanitario ad esempio registrano generalmente una mortalità inferiore rispetto a quelle che operano nei settori dell’edilizia o dell’amministrazione. Senza voler estendere i dati della Mobiliare all’intera popolazione, il rischio di mortalità sembra dunque dipendere sia dal salario che dal settore di attività. 

Le persone che si prendono cura hanno un rischio di morte inferiore rispetto alle persone che hanno lavorato nel commercio al dettaglio, nella ristorazione, nell’edilizia o in ufficio.

Salario e categoria professionale influenzano la durata della vita

Quali sono le conseguenze per la previdenza professionale? Come è noto, secondo la LPP il tasso di conversione per il calcolo della rendita è uguale per tutti. E questo sebbene la speranza di vita al raggiungimento dell’età pensionabile possa variare in base al salario precedente e al settore di attività. Mentre chi ha guadagnato bene vive mediamente di più, altri pensionati hanno una durata di vita residua più breve. 

A fronte di prestazioni uguali (in particolare con gli stessi parametri demografici come numero di figli o età dei coniugi), il capitale di vecchiaia accumulato deve permettere ad esempio ai nuovi pensionati del settore ristorazione, a basso salario, di vivere statisticamente meno a lungo dei nuovi pensionati con una formazione universitaria e un salario più alto. Rimane da chiarire in quale misura influiscono il settore e il salario, e quindi la speranza di vita, del coniuge. Un salario simile o l’appartenenza alla stessa categoria potrebbero rafforzare o al contrario indebolire l’effetto del reddito e del settore sulla speranza di vita. 

Dal punto di vista attuariale sarebbe quindi corretto introdurre un tasso di conversione più elevato per i redditi bassi e per alcuni settori professionali; in questo modo la rendita versata sarebbe in linea con la speranza di vita residua. La rendita effettiva dipenderebbe ovviamente ancora dall’avere di vecchiaia accumulato. Ad esempio un cuoco avrebbe un tasso di conversione maggiore rispetto ad un’insegnante liceale, ma quest’ultima beneficerebbe di una rendita superiore perché probabilmente avrebbe accumulato un capitale più elevato. 

Verso un tasso di conversione personalizzato?

Probabilmente molti troverebbero abbastanza equo applicare per motivi attuariali un tasso di conversione maggiore ai pensionati di un settore a basso salario. Tanto più che questi nuovi pensionati sono già stati socialmente penalizzati da un reddito basso. Ma siamo comunque disposti ad accettare, anche senza una penalizzazione soggettiva, un calcolo differenziato della rendita di vecchiaia? 

In questo caso con un tasso di conversione differente un operaio edile avrebbe un trattamento diverso rispetto a un’infermiera. A parità di avere di vecchiaia, l’operaio edile avrebbe una rendita superiore a quella dell’infermiera, perché quest’ultima beneficerebbe di una speranza di vita mediamente superiore. Come mostra il secondo grafico, la differenza tra il rischio di mortalità statistico delle due professioni è molto marcata. 

E per concludere una domanda un po’ iconoclastica: in questo caso come si dovrebbe gestire la differenza di durata di vita residua tra uomini e donne? Questi esempi spiegano in parte le reticenze degli assicuratori sulla vita a farsi carico dei rischi di longevità. Ma bisognerebbe trovare nuove soluzioni per affrontare la situazione demografica attuale e futura. 

Autore

Ritratto di Jürg Niggli

Jürg Niggli

Responsabile del Pricing attuariale per la previdenza professionale presso la Mobiliare
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