Fotografia della Hartz IV Lounge dell’esposizione d’arte e sostenibilità della Mobiliare

Dopo «Beni mobili – e i miti d'oggi» abbiamo ora il piacere di presentare la nostra seconda esposizione della serie «Arte e sostenibilità». «Nuove opere, nuove prospettive» raggruppa oggetti e immagini che segnano un cambio di passo nella collezione e nella politica espositiva della Mobiliare. Per la Mobiliare le opere d'arte non sono più oggetti passivi, ma diventano parte attiva del suo impegno sociale: la forza innovatrice dell'arte deve servire alla crescita dell'impresa e della collettività. Per questo motivo la Mobiliare intende instaurare una stretta collaborazione con gli artisti. «Nuove opere, nuove prospettive» presenta anche le nuove acquisizioni che sono entrate nella collezione della Mobiliare sullo sfondo del suo impegno sociale. Migrazione, globalizzazione, tradizione, controllo del sapere, feticismo dei marchi e reddito di base sono solo alcuni dei concetti chiave che affrontano gli artisti. Gli approcci anticonvenzionali e spiazzanti dell'arte e del design rivelano nuove prospettive per affrontare i problemi sociali.

Kimsooja (*1957, KOR)

Il termine «bottari» è di origine coreana e significa «fagotto». In Corea (Kimsooja è originario della Corea del Sud e oggi vive fra Parigi, New York e Seoul) questi teli variopinti, annodati per formare un fagotto, vengono usati per trasportare gli effetti personali essenziali durante un trasloco. I «bottari» sono perciò il simbolo di un mondo nomadizzante, di una forma di vita e di un'economia in mobilità con la quale anche noi in Europa e in Svizzera dobbiamo sempre più spesso confrontarci. Kimsooja lavora con i «bottari» fin dall'inizio degli anni Novanta, utilizzandoli in diversi contesti: i fagotti sono stati collocati sul pavimento di un museo come oggetti singoli, hanno fatto parte di una performance allestita sul pianale di carico di un pick-up oppure fanno impennare un triciclo cinese come nel «Bottari Tricycle» che si trova nella collezione della Mobiliare.  

Claudia Comte (*1983, CH)

Claudia Comte è originaria di Losanna, ma da alcuni anni la giovane artista vive e lavora a Berlino. Nel 2014 ha ricevuto il nostro Prix Mobilière. Comte fa parte di una giovane generazione di promettenti artisti svizzeri che stanno ricevendo molti riconoscimenti a livello nazionale e internazionale. Claudia Comte è un «digital native», un figlio del mondo digitale cresciuto con computer e giochi elettronici. La sua arte si occupa di questa nuova realtà virtuale che ha una forte influenza sulla nostra quotidianità. Le sue griglie geometriche sono accompagnate da sculture surreali e da personaggi dei fumetti realizzati in legno con strumenti talvolta insoliti, come una motosega o un bruciatore a gas. Sono la risposta artistica, affascinante e intelligente, di Claudia Conte alla normalizzazione digitale.

Thomas Feuerstein (*1968, A)

Inizialmente, Thomas Feuerstein studia filosofia e storia dell'arte. Questa influenza «scientifica» è molto presente anche nelle sue opere, anzi la scienza e la sua critica sono il vero tema della sua attività artistica. Con gli elementi in vetro di un laboratorio di chimica, quali le ampolle, i tubi di distillazione ecc.,  Feuerstein ha realizzato delle lampade dall'estetica raffinata che egli chiama «Candylamps». Questi oggetti, come dice il nome stesso, funzionano come normali lampade, ma sono anche dei pezzi d'arredamento futuristici che diventano un'unità d'indagine pseudo scientifica, un circuito fotosintetico in grado di produrre energia. Nella forma di questo bioreattore si incontrano mirabilmente concezioni estetiche e scientifiche che si rivelano anche completamente sostenibili: il procedimento chimico serve all'artista per produrre dei pigmenti che utilizza per i suoi disegni fantastici.

Rémy Markowitsch (*1957, CH)

«... Hai visto le mie Alpi?» è il bramito di un cervo nel locale dell'esposizione, che vuole mettere in questione il corretto rapporto fra progresso e tradizione, fra conservazione e innovazione. Originario di Lucerna, Rémy Markowitsch è un artista concettuale rinomato a livello internazionale. Nelle sue opere affronta il tema dell'ambivalenza del progresso, che spesso procede a discapito dei valori culturali, delle minoranze o delle nicchie economiche. Nella nostra esposizione Markowitsch si concentra sul nostro ambiente più vicino, ovvero sulle Alpi. Un cervo che bramisce, realizzato da un impagliatore di animali con dei pantaloni in pelle riciclati, e un panorama montano, formato da un collage di annuari del Club alpino svizzero, dimostrano quanto l'eccessivo sfruttamento economico ci abbia allontanati dalle nostre radici culturali.

Ekrem Yalçındağ (*1964, TUR)

Il pittore concettuale turco Ekrem Yalçındağ costruisce ponti culturali. La sua opera si colloca decisamente tra il mondo occidentale e quello orientale. I suo dipinti ad olio, progettati con rigore ed eseguiti da assistenti, si basano su degli studi naturali. Formalmente queste costruzioni altamente estetiche si basano su petali di fiori astratti che vengono raggruppati per formare corpi più grandi, rappresentati da rettangoli, cerchi, quadrati o altre forme geometriche. Cromaticamente Yalçındağ ricorre all'osservazione di iconografie della vita quotidiana: «Impressions from the street», è il nome che l'artista dà al suo modello di riferimento per i colori della strada che egli impiega nei dipinti.

Alessandro Balteo Yazbeck (*1972, VEN)

La pratica artistica del venezuelano Alessandro Balteo Yazbeck è molto legata alla storia del suo Paese e del continente latinoamericano. Il suo interesse è rivolto agli intrecci fra temi politici, economici e culturali, interrogandosi sulle modalità con cui la cultura viene asservita alla propaganda nazionalistica. I suoi lavori approfondiscono e analizzano le strategie del governo statunitense, che utilizzò deliberatamente le opere d'arte per praticare la diplomazia delle armi culturali in Sudamerica. L'imperialismo culturale di stampo occidentale si coniuga al colonialismo economico impietoso nella figura del magnate del petrolio Nelson Rockefeller. Il simbolo di questo fenomeno è una amaca degli Yanomamö, un popolo indio dell'Amazonia che in seguito allo sfruttamento delle risorse petrolifere ha perso la propria identità culturale ed economica. Balteo Yazbeck fa capire che l'appropriazione culturale e quella economica vanno mano nella mano.

Spezialprojekt: Arnold Odermatt (*1925, CH)

Una «esposizione nell'esposizione» è dedicata al fotografo ed ex poliziotto Arnold Odermatt, le cui opere non fanno ancora parte della nostra collezione. Per la prima volta a Berna mostriamo un'ampia selezione delle sue fotografie della serie «Karambolage».  Odermatt è una figura culto. Durante il suo servizio come poliziotto nel Cantone di Nidwaldo, per quarant'anni ha immortalato i luoghi degli incidenti automobilistici con la sua Rolleiflex, fintanto che venne «scoperto»: all'inizio degli anni Novanta suo figlio, il regista Urs Odermatt, stava facendo delle ricerche per il suo film «Wachtmeister Zumbühl» quando nella soffitta dei genitori trovò migliaia di negativi del padre. In questo modo iniziò una storia dal successo straordinario. Nel 2001 Harald Szeemann presenta Odermatt alla Biennale di Venezia catapultando l'ex poliziotto ai primi ranghi del mondo artistico. Da allora Arnold Odermatt ha esposto le sue opere un po' ovunque. Le sue fotografie colpiscono per lo speciale mix fra documento quotidiano e messa in scena. I luoghi degli incidenti, documentati in modo preciso e con sensibilità artistica, rivelano una caratteristica e un'assurdità particolare, un umorismo involontario, presentando la realtà come un artefatto. Gusto del tempo, moda e design offrono il perfetto scenario per una realtà dall'effetto irreale. Le tragedie e i drammi che a volte si celano dietro agli incidenti sono solo vagamente presenti, mentre l'oggetto danneggiato, l'auto ammaccata, diventa il protagonista principale, meditabondo e sognatore, all'interno della propria messa in scena.

Hartz IV Lounge: Van Bo Le Mentzel

Negli spazi riservati agli ospiti della Mobiliare, dove normalmente si trovano poltrone di pelle tradizionali, è stata ora allestita la nostra «Hartz IV Lounge». L'architetto berlinese Van Bo Le-Mentzel (*1977, Laos) espone una selezione dei suoi cosiddetti «mobili Hartz IV». Per la sua presentazione di Berna entra in azione un nuovo mobile: la banca svizzera, un mix fra una panca e un forziere. In Germania il termine «Harzt IV» viene usato per indicare il cosiddetto sussidio di disoccupazione II, il livello più basso di assicurazione statale. Il termine è diventato sinonimo di povertà, ingiustizia sociale e abusivismo.  L'idea di Le-Mentzel di scegliere questo titolo per un concetto di mobile partecipativo, per il quale trova i riferimenti anche nella costosa modernità, è al contempo sfacciata e ingegnosa: con il motto «costruire invece di consumare», Van Bo Le-Mentzel intende motivare le persone a partecipare attivamente. Su richiesta l'artista invia gratuitamente i suoi progetti, chiedendo in cambio di documentare fotograficamente il progetto una volta realizzato e di inviare informazioni sulle fasi della sua realizzazione. Con i suoi progetti Le-Mentzel incoraggia a superare le macrostrutture economico-sociali e a sviluppare lo spirito di iniziativa. In modo ludico e con le migliori applicazioni dimostra che il buon design non è solo una questione di denaro. L'importante è il desiderio di scegliere come si vuole vivere. 

Hartz IV Lounge presso la Mobiliare per l’esposizione d’arte e sostenibilitàFoto di un palo elettrico in un’amaca in tessuto marrone nella mostra Arte e sostenibilità della Mobiliare Un cervo davanti a una parete con immagini in bianco e nero delle montagne nella mostra Arte e sostenibilità della MobiliareFotografie in bianco e nero alla mostra Arte e sostenibilità della Mobiliare Un’opera d’arte astratta con salsiccia all’esposizione Arte e sostenibilità della Mobiliare